Genitivo oggettivo coi verbi di ricordare e dimenticare

Luigi Ceci

Sintassi latina

Genitivo oggettivo coi verbi di ricordare e dimenticare

I verbi memini e reminiscor (“mi ricordo”) e obliviscor (“mi dimentico”) vogliono il genitivo della persona o della cosa di cui uno si ridorda o si dimentica. Il nome della cosa però può stare anche in accusativo, anzi memini e reminiscor (usato di rado) preferiscono l’accusativo della cosa, obliviscor il genitivo: Cic. de fin. 5, 1, 3: Veteris proverbii admonitu vivorum memini, nec tamen Epicuri licet oblivisci. Cic., de fin. 1, 19, 62: Praeterita grate meminit. Cic., de div. 1, 30, 63: Cum ergo est somno sevocatus animus a societate et a contagione corporis, tum meminit praeteritorum, praesentia cernit, futura providet.

N.B. Il genitivo che accompagna i verbi sopra ricordati si spiega con l’idea sostantivale inerente ad essi. Memini patris = memoria patris me tenet.

Memini aliquid in Cicerone è molto più frequente di memini alicuius rei; oblivisci aliquid in Cicerone ricorre una diecina di volte; oblivisci alicuius rei una trentina di volte; Cesare, Nepote, Sallustio e Livio (21-33) usano solo oblivisci alicuius rei; reminiscor non è usato mai da Sallustio e da Livio (21-27); Cesare lo usa solo col genitivo di cosa in bell. Gall., 1, 13, 4.

Quando la cosa di cui uno si ricorda o si dimentica è espressa con un pronome o con un aggettivo neutro, va in caso accusativo. Cic., pro Rosc. Am. 31, 86: Ut alia obliviscar.

Se memini ha il significato di “conservo memoria” vuole sempre l’accusativo; se ha il significato di “far menzione di uno o di una cosa”, nel senso di mentionem facere de aliquo o de aliqua re, vuole l’ablativo con de o il genitivo. Cic., Scip. 9: Cum omnia eius non facta solum, sed etiam dicta meminisset. Cic., Phil. 2, 36, 91: Meministi ipse de exulibus: scis de immunitate quid dixeris. Ces., bell. civ. 3, 108, 2: Atque eundem Achillam, cuius supra meminimus, omnibus copiis praefecit. Cesare ha in quattro luoghi cuius mentionem supra fecimus.

Anche reminiscor si costruisce come memini, quando ha il significato di “mi richiamo alla mente”, “ricordo”. Nep., Alcib. 51, 3: Ille lacrimans talem benevolentiam civium suorum accipiebat, reminiscens pristini temporis acerbitatem.

Recordor, “mi ricordo”, non ha mai il nome della persona che si ricorda in genitivo, ma in ablativo con de; il nome della cosa invece lo ha in accusativo e, meno di frequente, in genitivo o in ablativo con de. Cic., Tusc. 1, 6, 13: Tu si meliore memoria es. velim scire, ecquid de te recordere. Ces., bell. civ. 3, 72, 4: Non denique communes belli casus recordabantur.

Cicerone usa una quarantina di volte recordor coll’accusativo di cosa, raramente col genitivo o con l’ablativo con de.

La frase venit mihi in mentem è propria della lingua familiare. Se ne hanno un centinaio di esempi in Plauto, Terenzio e Cicerone; meno di una dozzina nella restante latinità, compresa l’età augustea. La cosa che viene in mente è soggetto di venit o veniunt ed è o un pronome neutro o una proposizione infinitiva indiretta. Cic., Att. 12, 36: Si quid in mentem veniet, quo modo eam effugere possimus. Cic., Fam. 4, 10: Venit enim mihi in mentem subvereri interdum, ne te delectet tarda decessio. Cic., comm. petit. 14: Haec mihi veniebant in mentem de ecc. ecc.

Raramente la frase è seguita dall’ablativo con de; talvolta dal genitivo, evidentemente per analogia della costruzione di memini. Cic., Fam. 7, 3: Solet in mentem venire illius temporis. Ricordare ad uno una cosa si traduce con monere, commonere, commonefacere, admonere aliquem alicuius rei o, meno di frequente, de aliqua re. Quando però la cosa che si ricorda ad uno è espressa con un aggettivo o con un pronome neutro, va in accusativo. Sall., Cat. 21, 3: Admonebat alium egestatis, alium cupiditatis suae, complures periculi aut ignominiae, multos victoriae Sullanae, quibus ea predae fuerat. Cic., pro Coel. 3, 8: Illud tamen te esse admonitum volo.

Cicerone usa commonefacio di rado (solo nelle prime orazioni e alcune volte nelle lettere); commonefacio aliquem de alique re è della tarda latinità; aliquem alicuius rei è dell’uso classico. Sall., Iug. 49, 4: Ad hoc viritim, uti quemque de militare facinus pecunia aut honore extulerat, commonefacere beneficii sui.

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