Viviamo tempi complicati e pieni di paradossi. Capita talmente tanta roba che fatichi a capire e a starci dietro. Per esempio, stiamo perdendo la fede nel libro. Anche a scuola. Il libro non è più la ragione dell’esistenza delle istituzioni educative. Il testo si è separato dalla pagina. Può esistere in molti formati. La pagina stampata o manoscritta non è che uno dei tanti modi disponibili per codificare un messaggio. È diventato possibile immaginare un modo senza libri di carta.
Il libro di carta è stato per quattrocento cinquanta anni la metafora fondamentale della mente. Ha rappresentato un’epoca e la sua organizzazione sociale. In questo ruolo, è stato sostituito dallo schermo. In presidenza non c’è più lo scaffale dell’enciclopedia Treccani, ma un sistema informatico di ultimo modello. Il consiglio di istituto non discute più dell’acquisto di libri ma di computer. Tablet o portatili? Wi-fi o rete cablata? I professori e gli studenti tengono in mano tanti schermi e pochi libri, che invece stanno riposti nelle borse e negli zaini. Non sono più lo strumento essenziale dei processi di formazione. Chi va in giro con tanti libri e magari senza telefono in mano è un tipo bizzarro. Un soggettone. Divertente ma sconfitto dalla storia. I libri di carta, per esistere, hanno bisogno di sostenersi contenendo la propria dichiarazione di dignità digitale. Più CD ci stanno allegati meglio è. Nessuno sa esattamente cosa contengano i CD e a che servano, ma è importante che ci stiano. Hanno un ruolo simbolico essenziale.
I libri cercano di sopravvivere somigliando al paradigma del monitor. Travestendosi da monitor. Diventando “elettronici”. Abbandonano il formato tradizionale (le due mani aperte ed affiancate con i palmi rivolti in alto a sostenere il volume) e si riempiono di immagini, che sono il contenuto originario e nativo dello schermo. Vengono corredati di “supporti digitali” perché, in se stessi, non contengono più, o così ci pare, le ragioni sufficienti della loro esistenza. Sono “orientati al consumatore”. Perciò, al mercato. I professori per sopravvivere “fanno i progetti”. Le case editrici pubblicano solo i libri che garantiscono tirature elevate e alti volumi di vendite. Le vetrine delle librerie sono diventate di mille colori. Come gli schermi.
La lettura “scolastica” è una tecnica di attraversamento del testo come spazio regolato ed organizzato con lo scopo di immagazzinare nella mente il numero maggiore possibile di informazioni. È stata per secoli lo strumento di selezione e di formazione della classe media. Si legge come si percorrono gli scaffali del supermercato: spingendo faticosamente davanti a sé il carrello della mente, che va stipato e riempito con cura. Questo è importante e non lo debbo dimenticare. Qua sottolineo con l’evidenziatore. Alla fine si passa alla cassa. Chi ha il carrello più carico e meglio stipato vince e diventa importante. Quanti sono i segmenti narrativi nella Coscienza di Zeno? Chi è Bocca degli Abati? In quale canto del Purgatorio Dante e Virgilio incontrano Sordello da Goito? E Goito dove sta? Come si chiama il medico che ricuce insieme le due metà di Medardo di Terralba? Come si chiama il protagonista della Cognizione del dolore? Perché l’autore ha scelto questo nome? Parlami del Romanticismo.
Questa modalità di lettura si risolve nello studio ed evoca l’idea dell’accumulo di un tesoro, l’immagine di uno scavo minerario. È una attività come di turisti frettolosi che percorrano un territorio in cui non abitano e che non conoscono scattando fotografie ed acquistando souvenir ma distratti dai tempi, dagli orari, dalle prenotazioni last-minute, dalla velocità dell’auto, dal traffico, dai cartelloni pubblicitari, dal telefonino . In stato di acuta deprivazione sensoriale. Il significato fondamentale del viaggio è pubblicare le foto sui social e mostrare i ricordini agli amici. La scheda di memoria da 128 giga come le bisacce della sella del barbaro che attraversi un territorio per depredarlo e accumulare un tesoro. Allo stesso modo, il libro si acquista, si esibisce, si sfoglia, si studia per ottenerne un ricavo sociale.
I professori, che si sono formati e vivono dentro l’epoca della lettura “libresca”, che sta finendo, sono disperati. Sentono crollare i pilastri del mondo e vedono spalancarsi le porte dell’abisso, al quale vanno incontro rassegnati con un telefonino in mano. Il libro non è più il luogo privilegiato della costruzione del significato. La memorizzazione del libro, l’immagazzinamento mentale degli universalia, delle informazioni contenute nel libro, non sono più il gesto essenziale e fondativo dei processi di formazione. Il ruolo non è più stabilito in base alla quantità di informazioni accumulate nella mente attraverso lo studio. Dunque, la dignità sociale dei professori, che hanno svolto per secoli la funzione di magazzino centrale che rifornisce una catena di supermercati, è in pericolo. Quello che sai fare conta più di quello che sai. E, purtroppo, capitolo saper fare, i professori non sono mai stati tanto sciolti perché li hanno formati sui libri-magazzino. Dentro la cultura del libro-supermercato e della mente-carrello. Hanno i carrelli pieni in un mondo dove la quantità di merci mentali che trasporti sta perdendo significato. Per loro è un problema.
Quando finisce un’epoca ma ancora non è nata la successiva funziona così. Ci sono macerie dappertutto. Il paesaggio appare caotico e privo di significato. Dunque minaccioso e terribile. Vedi dovunque, o ti pare di vedere, creature strane che distruggono e saccheggiano tutto ciò che, per te, costituisce il significato del mondo. In questi casi, è una buona idea tentare di non farsi troppo male. Evitare i peggio malestri e salvaguardare te stesso cercando di capire come ricominciare. Da un posto perfino migliore, se ci riesci. O almeno più decente. Devi comprendere cosa è successo e perché. Cercare i significati nuovi che ti consentano di immaginare un mondo possibile. Magari, fatto un poco meglio.
È il momento di considerare quali siano le tue radici e di ascoltare la lezione degli antenati, che furono grandi, e imparare a non ripetere i loro errori. È il tempo di espiare le colpe dei padri, che siano benedetti, attraverso la tua sofferenza e sognare un mondo più confortevole e cominciare a lavorare per costruirlo.
La lettura “libresca”, o “studio”, ha costituito un modello simbolico così saldo e potente da essere applicata ad ogni libro. Anche a quelli di letteratura, che sono stati assimilati al modello del testo-supermercato (o testo-magazzino) in modo del tutto indipendente dalla intenzione di chi li scrive e dalle loro caratteristiche specifiche. Gli studiosi professionisti si sono affaticati per secoli a corredare i libri della letteratura di apparati, note, indici, repertori, introduzioni, interpretazioni autentiche, analisi, postfazioni, sommari, schemi e diagrammi per farli somigliare il più possibile alle enciclopedie. In modo che fosse possibile estrarne sistemi di informazioni da memorizzare. Con cui riempire le bisacce della sella. Li hanno fatti diventare libri-scaffali-di-supermercato. Hanno scritto enciclopedie della letteratura. I professori, dopo aver dimostrato di essere bravissimi a riempire il carrello proprio ed essere stati abilitati al ruolo di magazzino generale, hanno accettato anche l’incarico di commessi incaricati di verificare alla cassa, con metodi scientifici, il contenuto del carrello degli altri.
Adesso che il tempo di questa lettura, che abbiamo chiamato “libresca”, “scolastica”, “studio” e potremmo definire altrettanto bene“universitaria” perché ha cominciato ad essere praticata nel XII secolo dentro le prime università, sta finendo: ci accorgiamo che ha richiesto una applicazione non naturale né appropriata. È disagevole. Artificiosa. Non ci nutre né ci rende migliori. Trasforma le passioni in discipline e la disciplina, in tardolatino, è anche uno strumento che serve ad infliggere dolore. Che insegna attraverso il dolore. La lettura libresca ci chiede la medesima fatica che il turista accumula mentre satura la macchina fotografica di immagini, la borsa di souvenir e la mente di chiacchiere da infliggere agli amici.
Dunque, è il momento giusto per riscoprire modalità di lettura del libro che il monopolio scolastico non ci ha consentito di immaginare. La lettura “libresca” o “scolastica”, che pratichiamo dalla invenzione della stampa a caratteri mobili, è diventata soltanto uno dei tanti modi possibili di usare un testo.
Perciò, il libro della letteratura viene liberato dalle responsabilità sociali e dal ruolo simbolico che gli sono stati attribuiti per secoli. Poiché non è più lo strumento della selezione della classe media, possiamo cercare di immaginarlo e di adoperarlo in modo diverso. Sentiamo la necessità di adoperarlo in modo diverso. Magari, un poco più vicino alle sue caratteristiche ontologiche originarie. Il libro di letteratura può essere riconsegnato alla sua condizione nativa ed assumere di nuovo lo stato di testo liberato e gratuito. Viene restituito alla funzione fondamentale di una rete di parole che si getti nell’oceano tempestoso della vita per far emergere e, forse, catturare ed esprimere i significati fondamentali dell’esistenza. Senza la rivoluzione della “informazione automatica” non sarebbe successo.
Per i padri latini, legere valeva i nostri “scegliere e raccogliere”, “fare una fascio”, “mietere”. Il termine latino con cui si indicano i rami ed i fuscelli scelti sul terreno, raccolti e legati in fascina deriva da legere: lignum.
Secondo Plinio Seniore (17, 169) la parola pagina significa anche il filare della vigna. Dunque, legere è, originalmente, percorrere la pagina, scegliere, raccogliere i frutti migliori e nutrirsene. Le litterae, che formano il testo sulla pagina, sono alimento della vita. Legere non è un atto di astrazione, ma di incarnazione. Il libro non è il simbolo del pensiero e la metafora della mente, ma l’alimento saporito necessario alla vita. Il legere si pratica per studium, che è l’applicazione intensa e gratuita con la quale ci si dedica alle proprie passioni.
“Avere sapore” in latino si dice sapio, dal quale il participio sapiens. Il sapiens è colui che ha sapore. Chi ha appreso l’arte della vita saporita. Ha reso la propria vita saporita per se stesso e per gli altri nutrendosi di esperienze di vita feconde anche attraverso la pratica del legere, che è un gesto di realtà come nutrirsi. Dunque, il sapiens è colui al quale “ridon le carte” (Purg. XI 82). Non il vecchione con la zimarra lunga e la barbona bianca che a furia di studiare è diventato mezzo scemo. Non certamente il professore che gira con il carrello-mente bello pieno ma è triste ed avvilito perché nessuno se lo fila e la merce che trasporta non nutre la vita. Il sapiens è felix, che significa “fecondo” ed evoca l’immagine dell’albero carico di frutti maturi e saporiti. Felix sis, sii fecondo, è l’augurio più bello che si può fare in latino.
Per gli antichi, il libro non era il repertorio del pensiero dell’autore, ma la registrazione della sua voce. La voce di una persona saporita. Voces paginarum, infatti. L’autore si chiamava dictator e non scriveva seduto e in silenzio, ma dictabat a uno scriba professionista mentre passeggiava. Parlava a velocità naturale. Lo scriba applicava alla trascrizione del parlato continuo tecniche stenografiche avanzate che gli consentivano di fissarlo sulla tavoletta di cera in tempo reale. Si scriveva tutto maiuscolo, senza spazi di separazione tra le parole e senza punteggiatura. Più il nastro di un registratore che il nostro stampato umanistico. Anche l’aspetto fisico del libro ricordava il nastro del registratore: era un rotolo continuo di pergamena o di papiro e si chiamava volumen, da volvo: “rotolo” e “arrotolo”.
Adesso, per dirla quasi tutta: la lettura “libresca”, che è la sola di cui siamo in grado, è il risultato di una complessa serie di tecniche messe a punto lungo dieci secoli. L’invenzione del liber, del libro organizzato come lo conosciamo, formato da fogli cuciti e numerati e munito di copertina ed indice, è il termine iniziale. La stampa a caratteri mobili è il termine finale. Dopo la stampa a caratteri mobili, abbiamo praticato soltanto la “lettura libresca”. Fare tutto questo discorso della storia del libro e delle tecniche che hanno reso possibile la “lettura libresca” però sarebbe lungo, noioso e un bel po’ libresco. Un’altra volta.
Il lettore antico, cioè “il mietitore”, “il raccoglitore”, “il buongustaio” non leggeva come facciamo noi ma ascoltava, spesso in occasioni pubbliche e sociali, l’esecuzione dello spartito vocale in cui era stata fissata la voce dell’autore. Augusto si faceva leggere l’Eneide da Virgilio. Un lector di eccezione. Virgilio era un contadinone goffo, impacciato e molto timido. Farfugliava, in caso di necessità, poche frasi monche a voce bassissima. Chi chiacchierava con lui faticava a capirlo. Però, aveva appreso e praticava l’arte di restituire al testo la vita e la voce. Noi abbiamo perduto anche l’arte del lector, colui che sa eseguire recto tono, ad alta voce, lo spartito vocale fissato nel testo. Gli intenditori di letteratura non comprendono tra le proprie qualificazioni essenziali l’abilità di restituire la voce alla pagina.
Anche durante le letture private, gli antichi leggevano recto tono. Legere, dal punto di vista tecnico, era essenzialmente un gesto di riproduzione delle voces paginarum. Una chiacchierata con l’autore, al quale si prestava la propria voce. Chi leggeva considerava, abbiamo detto, questa attività in tutto simile alla pratica di percorrere un vigneto, un frutteto, un orto per nutrirsi dei frutti migliori. Non gli sarebbe mai venuto in mente di attraversare il giardino del testo per imprimersi nella mente la qualità o la disposizione o lo stato attuale o la storia della piante o la data di nascita o l’indirizzo di casa del contadino. Non: “Quante sono le piante di carciofi nell’orto che stiamo analizzando? Vediamo se hai studiato”. Ma: “Adesso scelgo i carciofi più belli, li raccolgo, li cucino e me li mangio perché sono buoni e fanno bene. Rendono migliore la vita”.
I testi antichi sono vocali. Progettati per essere eseguiti ad alta voce. La prima menzione nota di lettura mentale silenziosa è della fine del IV secolo nostro in un passo delle Confessiones di Agostino, ma c’è ancora un Dante vocale, particolarmente dentro l’Inferno. Canti interi scritti per essere eseguiti ad alta voce davanti ad un pubblico. Anche scritti ad alta voce, probabilmente. Ascoltando il ritmo e la melodia della pagina. Eseguiti ad alta voce mentre venivano composti. Probabilmente, è una delle ragioni della straordinaria efficacia che il testo della Commedia conserva per noi a distanza di tanti secoli. Quando il dictator licenziava un testo, spandeva “un fiume di parlare” (Inf. I 80): lo lasciava andare per il mondo sapendo che sarebbe stato eseguito e trascritto molte volte. Certamente, nelle trascrizioni, modificato. Un po’ come si modificano le chiacchiere altrui quando le si riferisce. Dettare un testo era una attività gratuita e libera. Come chiacchierare. Nessuno si aspettava di guadagnarci, per esempio. Non c’erano diritti d’autore né edizioni critiche. Non certo testi fissati per sempre. Immobili. Per qualcuno andava benissimo. Dante, invece, che ha scritto un libro controcorrente, scandaloso e rivoluzionario, ci teneva che non venisse manomesso troppo. Che rimanesse così. Allora, ha inventato un sistema di sicurezza a combinazione: la terza rima. Siccome non puoi modificare le parole in rima, che sono tutte interconnesse dal principio alla fine di ciascun canto, non puoi manco cambiare il testo più che tanto.
Ci stiamo perdendo in chiacchiere. Bello. Allora, un’idea fondamentale ci sta bene e ce la possiamo mettere. Questa qua: i testi latini sono progettati per essere eseguiti ad alta voce. Quando il dictator li ha detti ad uno scriba, la lettura mentale non esisteva. Non sarebbe venuta in mente a nessuno. La lettura era un fatto anche fisico. Perfino faticoso. Secondo Celso, che ci ha lasciato un trattato di medicina molto interessante, i dottori romani consigliavano la lettura o il gioco della palla come esercizi per irrobustire il fisico:”Ragazzo mio, ti vedo patito. Hai bisogno di fare esercizio. O leggi o giochi a palla. È lo stesso. Scegli tu ma non te lo dimenticare”. Se non leggi ad alta voce un testo latino: secondo me non ci capisci niente. Ad alta voce nel senso dei latini: recto tono. Come lo eseguissi per un pubblico. Facendo sentire bene i suoni finali delle parole. Restituendo vita alla pagina, restituisci forza alla vita.
Legere e dictare erano pratiche comprese nel tempo dell’otium, la dimensione della vita sottratta alla necessità di agire nella storia. Ancora una volta: attività libere e gratuite. Dunque, adesso che l’epoca della “lettura scolastica” sta finendo, possiamo tornare ad immaginare il libro come un giardino incantato in cui si impara l’arte della vita saporita. Poiché i sistemi educativi sono orientati verso funzioni e modalità completamente diversi, possiamo sognare dentro le scuole una “casa della lettura” in cui chi scopra dentro se stesso la passione per i libri e la vita saporita che si nutre di libri possa trovare la guida, il silenzio, la complicità di una compagnia libera, gratuita e disciplinata che gli occorrono per cominciare a vivere in un paesaggio ancora ignoto. Perciò, da scoprire. Dunque, disponibile per tutte le avventure e le ricerche di significato.
All’ingresso di questa casa, che è aperta a tutti, ci vorrei un cartello scritto bello grande con sopra le regole per chi decidesse di venirci a vivere:
- Leggi quello che ti pare, ma leggi.
- Se un libro non ti piace, lascialo perdere e prova con un altro.
- Quando leggi, fai quello che ti pare.
- Se una pagina ti annoia, saltala.
- Se ti va di guardare prima come va a finire, sentiti libero; allo stesso modo, se ti va solo di leggere qualche pagina qua e là o di rileggere: sentiti libero.
- Non leggere per ricordare, ma per vivere. Quando posi il libro, rimangono esperienze e sensazioni che arricchiscono e rendono saporita la tua vita nel mondo.
- Costruisci attraverso le tue letture relazioni umane significative. Condividi i libri che leggi. Metti in comune le tue letture. Fa’ esperienza di letture sociali ad alta voce.
- Se ti va, copia sul più prezioso dei tuoi quaderni quel che ti sembra essenziale. Trascrivere e leggere ad alta voce sono modalità di incarnazione nel libro. Significano mettere il libro dentro la propria corporeità. Agire il libro. Porta con te questi quaderni e rileggili spesso. Sono il luogo privilegiato di costruzione del significato della tua esistenza.
- Se ti va, impara a memoria quel che vuoi rimanga sempre con te. Le parole di cui senti il bisogno di nutrirti. Diventa i libri che ti appassionano.
- Leggi per essere vivo, non per essere bravo.
- Ricorda che la lettura è una pratica terapeutica e purificatrice. Fa guarire le ferite che la vita ti infligge.
- Angelo Boezi 2020 angelo@angeloboezi.net