Luigi Ceci – La sintassi latina

 

Introduzione

Rendo disponibile la trascrizione del manoscritto della Sintassi latina di Luigi Ceci consapevole che l’autore non la riteneva giunta al livello della pubblicazione. Tuttavia, posto che di questo lavoro si è scritto molto ed ancor più s’è chiacchierato, è bene sia reso disponibile agli studiosi.

Il lavoro di trascrizione è stato condotto con criteri diplomatici. Non ho cercato in alcun modo di normalizzare il testo. Ho conservato l’uso ceciano nella citazione dei luoghi latini. Quando Ceci taglia un passo latino per rilevare un costrutto o perché cita a memoria, ho ancora rispettato il suo manoscritto. Sono intervenuto soltanto per scegliere, tra stesure doppie o triple del medesimo testo, quella che m’è parsa definitiva. In caso di dubbio, pur minimo, tuttavia: ho conservato le varianti.

Considerati i tempi, mi pare necessario sottolineare che il testo è di Ceci ma il lavoro di trascrizione è mio ed ha richiesto il tempo e la fatica che si misurano con gli anni. Sono naturalmente disponibile per chiunque avesse osservazioni o commenti o volesse, in qualsiasi modo, utilizzare questo testo: angelo@angeloboezi.net .

Per lo stato dei manoscritti ceciani, si può vedere il mio Luigi Ceci e la scuola di latino, in G.Minnucci, F. Colao, F. M. Dovetto, A. Boezi, Per Ceci (Bologna 2008), che è stato scritto a modo di introduzione a questa Sintassi.

Ceci lavorava in modo molto disordinato. Scriveva con una grafia impetuosa e cursoria tanto da non riuscire egli stesso, in qualche punto, a rileggersi. Il lavoro di trascrizione è molto periglioso ma è stato condotto con puntiglio. Spero di aver evitato errori, comunque sempre in agguato lavorando su un testo rimasto allo stato di sparsi appunti.

Quando, ottanta anni fa, Ceci morì, alla sorella Virginia, che non aveva il bene della lettura e della scrittura, rimase di lui un minacciosissimo monticello di carte, e altre ancora a quelle prime s’aggiunsero, in appresso, “trovate nella stanza del sig. Professore” a Roma e restituite ai parenti. Ceci, per una vita intera di studio, aveva abbozzato molti lavori che restano, per noi, testimonianza d’una vastità di interessi straordinaria, e si proponeva, raggiunta la pensione, di condurli al livello della pubblicazione.

Queste carte furono subito contese tra diversi scolari suoi, che arrivarono a disputarsele, fino alla lite in tribunale, “in vista d’una eventuale pubblicazione”.

Erano tempi un bel po’ diversi dai nostri, e la grammatica latina era un luogo centrale della pedagogia e del conflitto sociale. Per un punto di grammatica ci si sfidava a duello: e senza scherzi. Tra i professori di liceo, la gerarchia veniva stabilita non dalla anzianità, o resistenza, in servizio ma, poniamo, dal saper rispondere o no alla domanda: “Perché potior, nella espressione potiri rerum, regge il genitivo e non l’ablativo, come di regola?”. La risposta giusta, di chi la sapeva, e se la sapeva “era bravo”, era la suppletivistica: “Si sottintende potiri summa rerum”.

Sicchè, un poco tutti attribuivano a quelle carte un valore immenso e, probabilmente, molto superiore a quello che Ceci stesso aveva ritenuto potessero avere.

Dopo un poco di carrucolamento avanti e indietro tra Alatri e Roma, tra una perizia e l’altra, tra un’udienza ed un rinvio, le carte di Ceci trovarono pace nel porto sereno d’un armadio del liceo di Alatri: un poco malconce, effettivamente. Mancano con ogni evidenza alcuni fascicoli della Sintassi: s’è perso tutto il nominativo, che doveva essere il primo della pila. Se altro sia andato perduto, non possiamo sapere. Nulla è rimasto dell’epistolario.

Due allievi di Ceci, Carlo Minnocci e Angelo Sacchetti Sassetti, confinato ad Alatri per motivi politici, e cioè per il merito d’una cocciuta e fermissima renitenza all’ossequio verso il fascismo, hanno lavorato su questi fogli per almeno quindici anni. Per prossimità di interessi e di competenze, oltre che per attribuzione di valore, la loro attenzione si soffermò, più che altrove, sulla sintassi latina.

Confortati dall’assenso autorevole di Nicola Festa, decisero di dare alle stampe il volume. Sacchetti Sassetti trascriveva il manoscritto e Minnocci lo rielaborava con l’idea di mettere insieme un manuale che, in qualche modo, realizzasse un punto di equilibrio tra le esigenze della scuola di latino, apodittica e normativa, e la descrizione storica della lingua che Ceci aveva cercato di comporre.

Certo, però, non si trattava di un compito semplice. Intanto, il manoscritto di Ceci è formato soltanto dalle carte preparatorie d’un lavoro che, tra le mani, gli s’era accresciuto a dismisura, e del quale la sola sintassi dei casi possiamo considerare sia giunta a livello tale da poter essere stampata, mentre della sintassi del periodo ci sono soltanto i materiali preliminari.

Ceci adoperava carta, pennino e calamaio dove chiunque, oggi, sentirebbe il bisogno di un consorzio di ricercatori e d’un discreto corredo di strumenti elettronici solo per tenere ordinate le schede e gli appunti. Lavorava d’impeto: segnava una citazione, un luogo latino, un pensiero dove gli capitava e come gli venivano. Qualche volta, in mancanza di meglio, scriveva su un angolo di pagina, o in un margine qualsiasi, perfino di verbale d’esami, che poi ritagliava ed inseriva nella cartelletta opportuna con l’idea di sistemare e rielaborare in seguito tutti i materiali raccolti. Si affidava ad un sistema suo di rinvii e segni d’inserimento basato sulla parentesi quadra ripetuta. Si vede bene che, in qualche caso, neppure lui riusciva poi a capire dove aveva inteso inserire un appunto o una nota. Aveva una grafia terribile: gli capitava rileggendo, di non riuscire più a decifrare quel che aveva fermato un poco di tempo prima: allora, di lato, aggiungeva uno, due, tre iratissimi punti interrogativi: qua e là, pure con qualche furibondo esclamativo di corredo.

Le trascrizioni di Sacchetti Sassetti sono, in ogni caso, accuratissime e di agevole lettura. Peccato che, nel grosso fascio di carte della Sintassi come lo abbiamo ora, se ne trovino soltanto pochissimi fogli; ci avrà dedicato molto tempo e molte fatiche, e li avrà portati con sé quando, alla fine della guerra, tornò alla sua Rieti. Sicché, il lavoro andrebbe rifatto da capo.

Il peso che queste carte hanno avuto nell’insegnamento di latino del nostro istituto è stato modestissimo. Uno dei ricordi di scuola che mio padre aveva più nitido era di quando Minnocci, ormai preside, entrava in classe per rimbrottare un’insegnante: ”Badi, professoressa, che quella costruzione, da lei corretta come errata, è stata usata da più di un autore latino”. E certo: Minnocci s’era appena alzato dal tavolo su cui stava lavorando alle carte di Ceci.

Mi pare si possa dire, purtroppo, che queste interpunzioni pedagogiche, un poco estemporanee, rappresentino il massimo risultato che il lavoro di Ceci abbia, sino ad ora, conseguito.

Di tante fatiche che Minnocci e Sacchetti Sassetti dedicarono al manoscritto della Sintassi è, purtroppo, rimasto ben poco. Sarebbe stato bello se quelle trascrizioni avessero circolato, ed animato la discussione ed il confronto, e magari seminato qualche dubbio nel compatto sistema di certezze grammaticali che, con tanto orgoglio, nella nostra scuola abbiamo continuato, e continuiamo, ad insegnare; sarebbe stato bello se il richiamo di Ceci alla centralità irrinunciabile della lettura e ad una migliore intelligenza del testo latino avesse fecondato ed animato la pratica dell’insegnamento. Ma il desiderio del libro stampato, dell’oggetto concluso e definitivo, sferico ed in tutto perfetto, e la difficoltà del còmpito costrinsero i due curatori a posare la penna. Evidentemente, la scuola di latino tradizionale non era ancora in grado di revocare in dubbio se stessa.

Virginia, intanto, aveva manifestato, poco prima di morire, la volontà di lasciare tutti i beni ricevuti dal fratello al seminario vescovile di Alatri. Alla fine, ci si risolse per un saggio iudicium Salomonis, e venne consegnata al seminario quella che tutti consideravano la parte maggiore dell’eredità intellettuale di Ceci: i manoscritti del Latium vetus, della sintassi latina, della grammatica serbo-croata.

Al liceo è rimasto un notevole fondo, costituito da un grosso fascio di carte e da numerose copie di ciascuno degli estratti di stampa delle pubblicazioni di Ceci. Tra altri materiali, va segnalato almeno il manoscritto del secondo volume delle Etimologie dei giureconsulti romani, del quale prima o poi qualcuno si dovrebbe occupare.

Cento anni dopo il termine che Ceci s’era assegnato per la pubblicazione del libro, l’abbiamo letto in quattro o cinque. Vediamo insieme se vale ancora la pena di occuparsene.

Il manoscritto della Sintassi riposa placidamente nella biblioteca del seminario di Alatri. Si tratta di notevole involto, distinto in due fasci di fogli, ciascuno stretto con ogni diligenza mediante più giri di spago, ad evitare la fuga della minima cartula: un fascio per la sintassi dei casi, uno per la sintassi del periodo.

Al lettore che, allentati i lacci, vi soffermasse lo sguardo, subito risulterebbero evidenti quattro mani di scrittura: la perigliosissima di Luigi Ceci, l’arruffata di Angelo Ceci, il plagiario del Latium Vetus, che ha lasciato, benedetto uomo, qualche sbaglio marchiano anche lì, direttamente sui fogli del professore, la compostissima di Minnocci, la determinata e spigolosa di Sacchetti Sassetti. A noi, evidentemente, interessa la prima, e senza rimpianti rinunciamo alle altre tre.

Le carte di Ceci, in gran parte mezzi fogli protocollo lineati, o variate porzioni frazionarie di essi, ma pure il retro d’un modulo di verbale d’esami dell’allora regia Università di Roma, ed altri supporti scrittòri d’occasione, sono raccolte in fascicoli all’interno di fogli protocollo bianchi. Codeste cartellette qualche volta recano una intestazione autografa, qualche volta di mano di Minnocci, qualche volta nessuna intestazione. Sono, a loro volta, contenute all’interno di fogli protocollo lineati su cui si legge, per mano di Minnocci, una sorta di rifacimento o rielaborazione del manoscritto di Ceci.

Siccome Ceci numerava di rado i mezzi fogli protocollo su cui aveva l’abitudine di scrivere, non abbiamo alcuna idea di quale potesse essere, in molti fascicoli, l’ordinamento originale, che siamo costretti a ricostruire, ove volessimo leggere, con parecchia fatica, e qualche dubbio residuale. A rendere il lavoro d’un curatore ancora più improbo (che non significa improbabile), qualche volta d’un medesimo luogo Ceci ha lasciato più d’una redazione. Tuttavia, complessivamente, si tratta d’un manoscritto ben delineato almeno per il riguardo della sintassi dei casi: quanto, se non più, quello del Latium vetus. A chi volesse allestirne la stampa, assolto il compito della trascrizione, rimane la responsabilità di decidere, ove l’evidenza interna del testo non aiutasse, se collocare, poniamo, il dativo di possesso prima o dopo il dativo etico, e di scegliere tra una o un’altra formulazione d’un medesimo concetto.

Non si corre, comunque, il pericolo di travisare o di sconciare il pensiero dell’autore il quale, tuttavia, non ci ha mai autorizzato a leggere queste carte: del che, mentre le leggiamo, è bene rimaniamo consapevoli.

Questo lavoro ha richiesto a Ceci una applicazione eroica e tuttavia non è mai arrivato al livello della pubblicazione.Testimonia, nell’essere incompiuto, l’impossibilità di ridurre a sistema una entità, il linguaggio, perennemente mobile, plastica, disponbile a piegarsi alle intenzioni ed alle necessità dei parlanti. Ceci, in realtà, ha ottenuto un risultato fondamentale e ancora necessario. Ha dimostrato che il latino non può essere fissato in un modello teorico e, perciò, che molte delle categorie e degli idoli grammaticali sui quali si sono affaticati – e si affaticano, temo, tuttavia – gli studenti non hanno, verificate sui testi, alcun senso. Ci ha posto in grado di vedere l’inconsistenza degli artefatti mentali con la conoscenza dei quali s’è confusa – e si confonde – la conoscenza del latino. Il capitoletto sul genitivo e ablativo di qualità in questo senso è esemplare. Anche se capisco possa parere di perigliosissima lettura. Come percorrere un labirinto.
 

Rendo disponibile il testo per addizioni successive mentre lavoro alla sistemazione definitiva, che riguarda faccende delle quali un tempo si occupavano i tipografi e che sono molto noiose. Senza la percezione di un lavoro concluso, o in via di conclusione, non riuscirei a continuare. Chi si è impegnato a condurre a termine un lavoro di mole simile a questa mi capirà e porterà pazienza. Queste carte sono rimaste silenziose per cento anni. Qualche settimana o mese ancora – posto che sia possibile immaginare ci siano degli impazienti in questi studi – non farà molto danno.

 

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